“L’insostenibile incoscienza del corsista” di Marco M.
L’insostenibile incoscienza del corsista
Ciò che mi accade intorno, i vari problemi da risolvere e le imprese a cui pensare, sono sempre un’ottima fonte per riuscire a praticare ma anche, come in questo caso, a spiegare in termini pratici quello che diversamente rimangono poi pensieri filosofici astratti e lontani dalla realtà.
Quello che sta accadendo, fortunatamente non spessissimo, nelle relazioni con i nostri “corsisti” ma che vedo purtroppo molto più spesso anche in tutti gli ambiti che hanno a che fare con il lavoro e lo studio, è la propensione a credere a pensieri del tipo: “meno faccio meglio è”, “meno mi costa più è valido”, “se non faccio fatica e non mi costa sacrifici è preferibile”. In sostanza non si dà più valore alla fatica ed al sacrificio e si crede che ottenere una qualunque cosa a sbattimento zero sia preferibile rispetto al contrario. La società post-umana verso la quale ci stiamo muovendo relega l’essere umano nella totale inutilità e, purtroppo, c’è chi non comprende gli effetti tragici sulle nostre vite di una cosa simile, e sembra non vedere l’ora.
Ma adesso entriamo nel concreto: noi organizziamo corsi per diventare insegnanti di Yoga. Ad ogni occasione, quasi urlo che il diploma è un pezzo di carta (in realtà adesso spesso è un oggetto virtuale fatto di bit, ma in questo contesto non fa differenza). Il pezzo di carta in sé vale zero. Una persona si iscrive ad un corso sia per imparare “cose” ma anche e soprattutto per fare un'esperienza che per tanti è stata, e mi auguro che per tanti sarà, una fiamma attraverso la quale mettere luce sulla propria vita e quando è il caso di cambiarla.
Tra i nostri corsi abbiamo quello on-demand che ha una sua validità e del quale sono contento. Il corso on-demand è funzionale per chi già insegna altre pratiche che implicano movimento e vuole integrare una sua professionalità con lo Yoga. Oppure è funzionale per chi vuole praticare Yoga in modo indipendente da un insegnante. Vale solo ed esclusivamente per queste due tipologie. Per tutti gli altri io lo sconsiglierei perché, come già detto un altro post di poco tempo fa, l’insegnante di Yoga non insegna tecniche e la cosa più importante è riuscire a relazionarsi con gli altri e sostenerli, cosa che con un corso on-demand non può avvenire.
Poi abbiamo i corsi annuali nelle varie sedi e quelli residenziali. Ovviamente ognuno fa i conti con la sua vita ma in termini di esperienza e di scintilla quello residenziale è il mio favorito. Come detto, all’inizio, capita però di frequente di vedere persone che si iscrivono ai corsi e poi cercano di fare il meno possibile. Non vogliono fare fatica, non vogliono impegnarsi a fondo, in sostanza non danno valore al loro tempo. Costoro, invece di essere centrati sul percorso, sono totalmente focalizzati sul traguardo ovvero terminare il corso e prendere il diploma. Credono, in modo totalmente ignorante, che non è il percorso a dare loro le capacità poi di essere insegnanti “che funzionano” ma è un pezzo di carta unito all’aver “partecipato ad un corso”. Ci troviamo così poi ad avere a che fare con persone che incomprensibilmente pagano un corso e poi vogliono fare il meno possibile invece che il contrario. Alcuni poi, per me i più incomprensibili in assoluto, non danno valore all’esperienza del ritiro, che rimane lo spazio in cui invece si crea un legame, una piccola fiamma comunitaria e, soprattutto, ci si mette alla prova fuori dalla propria zona di comfort (casa propria, le proprie abitudini), essendo partecipi di un rituale che obbliga tutti, compreso il sottoscritto, a dare tutto sé stessi ed arrivare alla fine dei quattro o più giorni esausti, ma con quel senso di soddisfazione di chi ha portato a compimento un’impresa. Invece c’è chi vorrebbe fare tutto questo in streaming a casa propria in piena comodità e senza sbattimenti. Per tutti coloro che fanno parte di quest’ultima categoria termino con i versi del più grande poeta italiano: “Io ho quel che ho dato”. (D’Annunzio)
m.m.