“Conoscenza di sé e autenticità” di Marco M.

Conoscenza di sé e autenticità

Mai come oggi si parla della “conoscenza di sé stessi”, di vivere il “momento presente”, dell’essere liberi senza indossare maschere ecc.
In antitesi si vive per lo più nella completa inautenticità, circondati da esseri in-umani incapaci di un qualsiasi pensiero o atto che abbia il sentore della libertà, sempre costantemente prigionieri dello spazio/tempo e così totalmente alieni all’esperienza dell’infinito momento Presente.
La mia storia personale passa attraverso una ricerca esperienziale ed esistenziale sulle filosofie e pratiche orientali. Ovviamente rivolgersi all’oriente non è di per sé necessario, in quanto la spinta all’ascesi esiste anche nella molto più vicina cultura greca (Aksesis), ma “l’innamoramento per l’Oriente fa parte della mia “storia” e non ho alcun rimpianto. Anzi, è un piacere oggi riscoprire la Grecia e la mistica della cultura del nord Europea anche con il bagaglio esperienziale dell’oriente giovanile. Da giovinastro, infatti, sono rimasto incantato dalla meditazione Zen, dalle contaminazioni che con essa ha avuto la Beat Generation, dalla pratica dello Yoga per poi subire più tardi il fascino dalla filosofia Taoista che rimane per me tutt’ora un incredibile richiamo che mi spinge a considerare tutto dal punto di vista della natura e dei suoi squilibri perfettamente in equilibrio.

Mi sento ogni tanto risentito e desideroso così di segnare la distanza tra me ed il mondo dello Yoga newage moderno. Ma sono quei rari momenti in cui in fondo mi perdo, recriminando in modo ignorante su come le cose dovrebbero essere ma non sono. Poi mi riprendo, osservo con un minimo di distanza per constatare che in fondo nella storia è sempre andata così: quando un qualsiasi cosa (movimento religioso, filosofico, spirituale) diventa di massa perde totalmente la sua autenticità.
Non è colpa di nessuno, è un processo naturale di nascita, crescita, declino e morte e gli esseri ancora umani devono amare il proprio tempo, anche se fosse per il semplice motivo che è ciò che abbiamo.
Nel tempo in cui lo Yoga, ed il mondo della filosofia Orientale in senso più generico, non era moda, era frequentato da persone che a loro modo erano per così dire alla ricerca di mezzi che gli dessero la possibilità di comprendere sé stessi o anche semplicemente di essere consapevoli di altre dimensioni del sé. Nel momento in cui la massificazione si è appropriata di tutto questo, facendolo divenire moda, buona parte di ciò che è autentico è svanito.
Coloro che vivono nell’inautenticità o inconsapevolezza, non importa in quale tempo e spazio, non possono capire che per conoscersi bisogna essere disponibili ad andare oltre a sé stessi. Che non è il mezzo che viene utilizzato ma come questo mezzo è utilizzato ed infondo tutto si riduce all’intenzione, attitudine e qualità del soggetto che utilizza il mezzo.
Gli in-umani credono di potersi conoscere attraverso la chiacchiera “spirituale” superficiale, attraverso la psicoanalisi, stiracchiandosi i glutei attraverso qualche posizione yogica, sedendosi con gli occhi chiusi o, peggio ancora, camminando e parlando lentamente (quelli poi che si salutano augurandosi buona vita sono i messi peggio). Costoro scambiano ombre proiettate della loro mente con la realtà, esattamente come gli abitanti della caverna platonica. Per conoscere sé stessi, non importa quale mezzo utilizzi ma è necessario che tu sia pronto ad andare oltre te stesso e farlo sistematicamente come prassi abituale.

Per andare oltre te stesso bisogna andare oltre le tue possibilità, sperimentando esperienzialmente come spesso i limiti siano illusori prodotti dalla paura indotta. Devi essere pronto a sperimentare dolore e sofferenza. Devi essere pronto a perderti, toccare il fondo per poi risalire e ritrovarti identico a prima eppure totalmente nuovo.
Praticamente significa cose come: correre oltre i limiti, nuotare verso l’orizzonte senza il pensiero di dover tornare, affrontare una camminata in montagna andando avanti fino a quando non si è certi di poter tornare indietro, ripetere centinaia di volte di seguito lo stesso kata o la stessa sequenza di yoga, migliaia di volte lo stesso mantra oppure sacrificare tutte le proprie energie per sconfiggere un avversario molto più forte. Si tratta in sostanza di fare un viaggio attraverso i veicoli del dolore e della sofferenza. 
Solo oltre i confini della propria mente, in quello spazio mentale sospeso, quando si è senza alcun appiglio, è possibile osservarsi e finalmente conoscere un pezzo di sé stessi.  

m.m.