Quando le dimensioni contano: praticare yoga aumenta il volume cerebrale, ma quali sono le aree coinvolte?
Yoga and the Brain - rubrica a cura di M. Elide
Bene, ora che ho attirato la vostra attenzione possiamo entrare direttamente nel vivo del discorso. Ognuno di noi, quando pratica yoga, ne percepisce i benefici a vari livelli: fisico, psicologico, spirituale, cosmico! Ma cosa succede nel cervello dei praticanti? Ci sono delle differenze? Ebbene, la ricerca neuroscientifica risponde di sì: ci sono delle regioni cerebrali che mostrano un volume maggiore tra le persone che si dedicano a questa disciplina.
Partiamo da alcune premesse: la pratica dello yoga include solitamente la triade composta dagli asana, ossia le varie posture che possiamo assumere con il corpo, le tecniche di respirazione, o pranayama, e di meditazione (dhyana). Nonostante ci sia (o debba auspicabilmente esserci) una stretta connessione tra questi elementi, è stato dimostrato che gli effetti dell’attività fisica e della meditazione si associano a un cambiamento di volume cerebrale in aree leggermente diverse, non perfettamente sovrapponibili. Sulla meditazione, quindi, torneremo nelle prossime puntate perché c’è davvero tanto da approfondire. In questo articolo, invece, sintetizzerò alcuni dei risultati delle ricerche che hanno considerato la pratica nel suo insieme, senza distinguere tra effetti specifici.
Iniziamo dalla superficie: chi pratica yoga ha un volume cerebrale maggiore nella corteccia somatosensoriale primaria, chiamata S1. In questa regione la corteccia riceve da tutti i distretti corporei le informazioni legate al tatto, alla propriocezione, alla temperatura e al dolore. In S1 il cervello viene informato anche dello stato di tensione di muscoli e articolazioni e della posizione del corpo nello spazio. A questo punto appare piuttosto intuitivo comprendere lo sviluppo di quest’area in relazione allo yoga, che coinvolge, e probabilmente sviluppa, la consapevolezza enterocettiva, ossia la nostra sensibilità per le informazioni e gli stimoli interni, che in questo caso si focalizza su respiro, posture e allineamenti, ma anche sullo stato emotivo.
Un’altra regione che viene citata sistematicamente dagli studi neuroscientifici è l’insula, una struttura più primitiva che fa sempre parte della corteccia, ma si trova in uno strato inferiore a quello visibile, superficiale. Viene spesso classificata come corteccia paralimbica e gioca un ruolo in una grande varietà di funzioni vitali: integrazione dell’omeostasi corporea, sensibilità enterocettiva, regolazione di riso e pianto, coscienza del sé corporeo, empatia ed emozioni. Uno dei ruoli dell’insula, infatti, consisterebbe nel rendere consce le reazioni emotive che derivano dalle informazioni viscerali, e quindi nell’integrare aspetti cognitivi e somatici delle emozioni. Quest’area sembra essere legata alla pratica dello yoga soprattutto in relazione agli effetti della meditazione e della respirazione controllata e viene anche associata al costrutto di coscienza e consapevolezza, ma qui ci addentriamo in un campo minato in cui i neuroscienziati annaspano (giustamente) e da cui si defilano con abile destrezza.
Un altro protagonista del cervello yogico è l’ippocampo, una piccola regione a forma di cavalluccio marino e collocata in profondità nel cervello, e precisamente nel lobo limbico: lo zoccolo duro del processamento emotivo. Tipicamente l’ippocampo viene associato ai meccanismi legati alla memoria, come l’apprendimento di nuove informazioni e il loro consolidamento nella memoria a lungo termine. Un’altra importante funzione svolta da questa regione è la navigazione spaziale: sembra, infatti, che grazie alla sua attività si creino delle mappe o griglie che ci consentono di pianificare percorsi. Non a caso l’ippocampo è una delle prime regioni che si deteriorano nella Malattia di Alzheimer, in cui sia la memoria che l’orientamento spaziale vengono compromessi. Per quanto riguarda il suo ruolo nella pratica yoga sono state formulate delle ipotesi più specifiche: la prima, compatibile con le funzioni appena descritte, riguarda il rapporto tra ippocampo e plasticità cerebrale. Sembra, infatti, che sussista una relazione con l’espressione di alcune proteine che si prendono cura dei neuroni esistenti cercando di garantirne la sopravvivenza, e favorendo allo stesso tempo la crescita e la differenziazione di nuovi neuroni e sinapsi (yes!). Una seconda ipotesi riguarda, invece, il ruolo dell’ippocampo nella regolazione degli ormoni legati allo stress. È stato dimostrato che, di fronte a stimoli o eventi stressanti, dimensioni maggiori dell’ippocampo si associano a una secrezione più bassa di cortisolo. Questo potrebbe indicare una migliore efficienza nella regolazione di stati emotivi negativi e un maggior benessere.
Concludiamo con alcuni spunti di riflessione e di sano scetticismo nei confronti di questi studi. Non potrebbe essere semplicemente che, in generale, essere più attivi dal punto di vista sociale e fisico possa causare queste differenze? Ottima obiezione, ma molti degli studi su questo tema hanno analizzato i cervelli dei praticanti yoga mettendoli in relazione con quelli di persone ugualmente attive. Inoltre, i dati relativi a un aumento di volume cerebrale correlano con l’esperienza e l’impegno profuso in questa disciplina. In poche parole, maggiore è il numero di ore settimanali dedicate alla pratica (ma anche degli anni di esperienza!), maggiore sarà l’effetto sul volume. Infine, le differenze osservate sembrano concentrarsi soprattutto a livello dell’emisfero sinistro, legato ai comportamenti di avvicinamento e alle emozioni positive. Cosa resta da dire? Dateci dentro!
Un approfondimento per i più nerd…:
La rubrica Yoga and the Brain affronta alcuni temi legati alla pratica dello Yoga dal punto di vista della ricerca neuroscientifica. Parleremo del rapporto mente-corpo, degli effetti dello yoga e del movimento sul cervello, dei confini tra scienza e spiritualità e molto ancora, in un'ottica tutt'altro che riduzionista, ma anzi di ricerca e integrazione. In fondo "Yoga" significa "Unione"...
M. Elide si è diplomata ad Hariom nel 2020. È Psicologa e si occupa da anni di ricerca neuroscientifica. Si destreggia tra lo studio di Mente e Corpo, riconoscendo nella consapevolezza del loro incontro la vera forza della pratica e della conoscenza di sé.