La sfida senza senso

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Religione e spiritualità, due categorie che a volte possono coincidere a volte no, sono accomunate da un’ ipotesi che probabilmente non ha senso e che è alla base della loro missione. L'ipotesi è che esista un’anima o un vero sé, un nucleo all’interno dell’essere umano che possa essere considerato la nostra reale identità e che, molto probabilmente, non esiste.

Il fatto che non esista non è un mio pensiero ardito, ma è parte delle teorie scientifiche più accreditate, nonché ciò che osservano gli strumenti tecnologici più avanzati. Ovvio che un giorno queste teorie ed osservazioni potrebbero essere ribaltate, ma il trovare questo “nucleo” esistenziale è probabile quanto riuscire a provare l'esistenza della fata turchina. Nel mio piccolo, e per quel che vale, posso aggiungere che è anche la conclusione a cui giungo attraverso le mie personali sperimentazioni psichedeliche.

Di fronte a tutto ciò potresti giustamente porti delle domande, su quanto abbia senso seguire oggi le indicazioni di una qualunque religione, sacrificando la tua esistenza per essa, quando la sua possibilità di realtà non si discosta dalla possibilità dell'esistenza di Topo Gigio.
Ti faccio alcuni esempi: un indù basa la sua esistenza sull’idea della reincarnazione. Se non esiste tale nucleo, chi o cosa si reincarna? Se non c'è un'anima, chi o cosa va in paradiso o all'inferno? Se è impossibile per la nostra mente non essere condizionata, ed il vero sé non è altro che una leggenda, che fine fa tutta la spiritualità yogica buddista?  

Lo scopo di questo post non è farti perdere ogni possibile bussola, ma cercare di farti comprendere che è molto probabile che le bussole che hai utilizzato fino ad ora non funzionino, e che non ti stiano portando da nessuna parte se non nell’ignoranza. Il dubitare non è un invito all’immobilità, ma una sfida verso un nuovo viaggio, dove la meta è ancora sconosciuta. La possibilità, assai probabile, che non esista un premio finale (paradiso, uscita dal ciclo delle reincarnazioni, nirvana ecc.) non è un invito a fregarsene dell’etica, ma anzi a trovare la base dell’etica nel radicamento al momento presente, ovvero: se agisco per il bene, io sto meglio.

La sfida ed il premio non sono forse in due momenti differenti del piano temporale, ammesso e non concesso che il tempo esista realmente, ma due realtà non separate del tuo presente. In poche parole, chiediti quanto abbia senso basare le tue azioni di oggi per un premio nel domani, che non è detto che mai arriverà. 

m.m.

alessandra quattordio