Connessioni da remoto… Perché praticare in presenza è tutta un’altra storia? Un’ipotesi dalle neuroscienze
Yoga and the Brain - rubrica a cura di M. Elide
Iniziamo con una premessa doverosa: non c’è nulla di male in Zoom o altre app. In questo periodo di limitazioni, decreti e chiusure molti colleghi e professionisti dello yoga e del movimento hanno potuto proseguire con le proprie attività, e gli studenti hanno continuato a srotolare il tappetino, anche se a distanza gli uni dagli altri. Quello che, però, viene spesso riferito è che l’esperienza della pratica online non è esattamente la stessa cosa. È vero: scompare il paragone con gli altri, ci si può concentrare maggiormente sul proprio sentire, ci si può organizzare meglio con i tempi. Tuttavia, è innegabile che manchi qualcosa, e la colpa non è solo della connessione scadente, dei microfoni accesi, o del fattorino di Amazon che suona il citofono. Una possibile spiegazione può essere racchiusa nel funzionamento del nostro cervello, ma andiamo con ordine.
Vi siete mai accorti che, passando del tempo con persone straniere o di un’altra regione il nostro accento cambia? Avete mai sentito il detto per cui, invecchiando, i partner di una coppia si assomigliano sempre di più? Queste storie di “common psychology” non sono altro che esempi di come le persone, quando interagiscono tra di loro, iniziano a imitarsi in modo non consapevole, tramite dei meccanismi di “rispecchiamento”. Parallelamente a questi esistono anche dei fenomeni di vera e propria sincronia temporale o “coordinazione interpersonale”. Com’è facile intuire, più forte è il legame affettivo tra le persone, maggiore sarà il livello di coordinazione.
La cosa super interessante, però, è che questo fenomeno di adattamento reciproco non avviene solo a livello comportamentale, ma è registrabile anche nelle risposte psicofisiologiche del corpo (come battito cardiaco, sudorazione, ritmo respiratorio) e soprattutto nel cervello. Quando cooperiamo con un’altra persona le nostre attività cerebrali iniziano ad allinearsi tra loro, proprio come quando camminiamo a braccetto e cerchiamo di stare al passo dell’altro, e questo emerge chiaramente dalla registrazione dei segnali elettrici, come l’elettroencefalogramma (EEG).
Sembra un fenomeno piuttosto oscuro da descrivere, ed effettivamente agli inizi di questi studi c’era sicuramente del paranormale. La prima ricerca effettuata in co-registrazione (per chi volesse approfondire: tecnica dell’“hyperscanning”) era destinata a dimostrare la presenza di telepatia in coppie di gemelli omozigoti. Quello che sembra succedere, in realtà, è che fare qualcosa insieme non solo attivi le stesse aree cerebrali (sarebbe troppo semplice!), ma crei una catena di eventi che fanno risuonare due cervelli allo stesso ritmo. Questo fenomeno si annulla, o si inverte, durante attività competitive.
Il punto cruciale che ci tocca maggiormente è che questi meccanismi non sono semplicemente la conseguenza di una sintonia reciproca tra due persone, ma possono esserne la causa. Proprio attraverso di essi, infatti, è possibile creare un senso di vicinanza. Se è vero che più forte è il legame, maggiore sarà la coordinazione, è anche vero che maggiore è la coordinazione, maggiore sarà la reciprocità. Pensate a quanto possa essere importante tutto questo nelle lezioni fatte insieme in shala, soprattutto in riferimento alla respirazione, che scandisce il ritmo dall’inizio alla fine. Ognuno sente il proprio respiro e quello degli altri, ma durante la pratica questo scarto temporale si annulla, e si sente un unico flusso, un po’ come quando si battono le mani a teatro: dopo poco iniziamo a sentire un solo ritmo. Chi pratica o ha provato l’ashtanga yoga, ad esempio, conosce l’energia che si crea, soprattutto nelle lezioni guidate con una scansione uguale per tutti.
È giunto il momento, però, di qualche tecnicismo. Le principali aree cerebrali a cui vengono attribuiti questi meccanismi sono le regioni premotorie, legate alla pianificazione del movimento, le regioni parietali, che elaborano il senso di posizione nello spazio, le regioni prefrontali, che fanno praticamente tutto e costituiscono il cosiddetto “cervello sociale”, e infine il cervelletto, che si occupa degli aspetti ritmici, ma non solo… Ricordatevi di lui perché ne riparleremo. Oltre a questi network è importante segnalare che le attività cooperative, ritmiche, svolte insieme, si associano al rilascio di neurotrasmettitori e ormoni specifici, come endorfine e ossitocina (“l’ormone dell’amore”), che facilitano alcuni processi sociali affiliativi attraverso meccanismi di ricompensa, o “reward”. Il sistema di reward, grazie all’azione di un network di strutture neurali, regola alcuni aspetti legati alle emozioni positive e alle motivazioni basate sulla ricerca del piacere, rafforzando legami e la spinta a cercarci e ad avvicinarci, il senso di fiducia reciproca… creando un’unità, un gruppo.
Concludiamo, ora, con qualche riflessione. Abbiamo appurato che quando facciamo qualcosa insieme agli altri ci sincronizziamo. Ma perché accade ciò? Per rispondere a questa domanda dobbiamo rivolgerci alla psicologia evolutiva e considerare alcuni aspetti legati alla nostra filogenesi. Alcuni studiosi hanno ipotizzato, infatti, che la tendenza a fare delle cose insieme, ritmicamente, come nelle danze e nei rituali di tantissime tribù del passato (ma anche nel presente) è finalizzata a sfumare i confini tra il sé e l’altro, a lasciare da parte la propria individualità in favore del gruppo, portando alcuni vantaggi evolutivi legati all’ottimizzazione delle risorse, alla riproduzione, alla sicurezza e alla protezione. Questo ovviamente non significa che perdere se stessi sia auspicabile: è proprio esprimendo la nostra identità, il nostro essere unici, che possiamo vivere e confrontarci con gli altri in modo autentico. Allo stesso tempo, però, possiamo prendere la pratica dello yoga come un’occasione per perderci un po’, per essere parte di un tutto, per sentirci forti e sicuri insieme agli altri, quando ne sentiamo il desiderio. Perché a casa, da soli, non tutti si sentono sicuri.
Un approfondimento per i più nerd…:
La rubrica Yoga and the Brain affronta alcuni temi legati alla pratica dello Yoga dal punto di vista della ricerca neuroscientifica. Parleremo del rapporto mente-corpo, degli effetti dello yoga e del movimento sul cervello, dei confini tra scienza e spiritualità e molto ancora, in un'ottica tutt'altro che riduzionista, ma anzi di ricerca e integrazione. In fondo "Yoga" significa "Unione"...
M. Elide si è diplomata ad Hariom nel 2020. È Psicologa e si occupa da anni di ricerca neuroscientifica. Si destreggia tra lo studio di Mente e Corpo, riconoscendo nella consapevolezza del loro incontro la vera forza della pratica e della conoscenza di sé.