Discoteca labirinto

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Gli ultimi, per me, sono stati giorni bui, dominati dalla sensazione di “errare” in un labirinto di pensieri angosciosi in cui mi agitavo alla ricerca di una via d’uscita, senza riuscire a trovarla.

Mi sentivo come la giovane Sarah di Labyrinth (1986), che in preda ad una crisi adolescenziale perde i suoi punti di riferimento e un cattivo Re, David Bowie (splendido, inutile dirlo), le concede poche ore per ritrovare ciò che ha perduto, catapultandola in un labirinto ancor più strampalato ed inquietante di quello di Cnosso, con mostri ben peggiori del Minotauro, che termina in un gioco-allucinazione di scale che pare uscito da una litografia di Escher.

“Un labirinto è un luogo in cui è molto facile entrare, da cui è molto difficile uscire, e in cui è ancora più difficile stare.” Quando cadi intrappolato nel labirinto dei pensieri, delle angosce, delle lamentele interiori, ci scivoli dentro rapidamente, come Alice nella tana del Bianconiglio. Una volta dentro, se ti agiti tra quelle alte siepi, tormentato dal loro infinito replicarsi, finisci per perderti davvero e aggirarti dopo poco come un inferocito Jack Nicholson nella scena finale di Shining. Cercando disperatamente una via d’uscita, rischi di non capirci più niente e il disorientamento è reso ancora più inquietante dalla implacabile geometria dello spazio, che non lascia mai alcun vuoto, precludendo ogni ipotetica via di fuga. 

Se invece riesci a stare, respirando, se riesci a mantenere un passo zen tra quei muri di pensieri, tra quelle spirali di emozioni che confondono e ingannano, va a finire che ti ci trovi pure a tuo agio e lo trasformi nel Discolabirinto dei Subsonica: un luogo dove rifugiarti e ballare; ballare allo sfinimento su tutta la confusione e il disagio che stai vivendo finché esausto crolli, ti arrendi e, mollando, ti scopri arrivato nel suo Centro, dove ritrovi ancora una volta te stesso e ridai ordine alle cose.

Almeno per un po’…

Elisa F.

alessandra quattordio