“Una volta Chesterton disse che gli angeli, poiché si prendono così alla leggera, possono volare.” Alan Watts
C’è una canzone che mi si è conficcata in testa come è successo a tanti dopo Sanremo. Il ritmo ti fa muovere un po’ e visto l’immobilismo di questi tempi è già qualcosa, ma è quella parola che mi vien voglia di ripetere allo sfinimento: “LEGGERA” anzi “LEGGERISSIMA”.
L’intuizione vincente è stata ficcare questa parola dentro ad un bisogno popolare: la necessità di ritornare a fischiettare, sdrammatizzare il peggio uscendo da rigide ortodossie e senza che questo significhi vacuità di sentimenti.
“Un filosofo inglese ha detto che quello che è cosmico è anche comico. Fai del tuo meglio e non prenderti troppo sul serio” (scrive Bernie Glassman nel suo libro), ma mi sembra che attualmente il paradigma sia decisamente rovesciato. Specialmente ora, dopo più di un anno trascorso sotto i bombardamenti di quotidiani bollettini di morte e devastazione, il nostro mondo emotivo è collassato deprimendo gli umori a guisa di pneumatici sgonfi.
L’adultità solitamente ci deforma sotto il peso di una gravità illusoria perché ci convinciamo che tutto sia così seriamente reale da non avere altra via d’uscita.
E’ un po’ quello che accade nell’ approccio iniziale alla pratica dello Yoga, quando riteniamo che sia improbabile sollevarsi da terra senza fare fatica o che ci voglia una forza esagerata per mantenere l’equilibrio di certe posizioni. Poi ci accorgiamo che meno pensiamo, più sorridiamo e respiriamo, più le nostre convinzioni vacillano aprendoci nuovi spiragli di possibilità. Mi sono sentita dire molte volte “Questa posizione mio figlio la fa sempre” e non è altro che la conferma che se non pensi troppo e male come si fa da “grandi”, la vita è molto più leggera.
La leggerezza è un omaggio al residuo d’infanzia che abita ancora in qualche angolo buio del nostro Sé adulto; quell’infanzia anarchica che ti fa ballare in modo buffo perché ti viene da dentro, che ti fa ridere a crepapelle anche se “non si fa”, che non conosce la gravità delle paure che sbarrano le strade e divorano i sogni.
Umberto Saba in una bellissima poesia scriveva che la gioventù, desiderosa di sobbarcarsi dei pesi, offre spontaneamente le spalle al carico ma alla fine “piange di malinconia”. “Sul tardi l’aria si affina e i passi si fanno leggeri”: da più grandi ci si avvicina alla felicità riscoprendo vagabondaggio, evasione e poesia. L’umanità è adulta ormai, non ci resta che scegliere se continuare a portare pesi come muli che procedono in fila malinconici o metterci in cammino come viandanti errabondi i cui “pensieri leggeri si uniscono alle resine dei pini e si fa chiara la mente come nuvola”. (F. Battiato)
Elisa F.