Tra Cielo e Terra
Cielo e Terra sono due simboli potentissimi che hanno attraversato ogni cultura e che sopravvivono tuttora nel nostro linguaggio e pensiero con la stessa forza evocativa delle origini. Sperimentiamo costantemente la loro presenza nel nostro movimento, nella nostra pratica Yoga, esattamente come percepiamo queste due forze agitarsi anche in senso più sottile nella nostra psiche (o anima per chi la contempla).
Come uomini, fisicamente siamo sotto la costante pressione di una gravità che ci appesantisce a terra e ci ingoffa mentre tentiamo di ergerci verso l’alto, psichicamente ci sentiamo spesso in conflitto tra gli aspetti che più si legano a questi elementi: una natura più istintiva e terrena fatta di bisogni da soddisfare, ombre e inquietudini, e una più leggera e soave, ispirata e in ricerca.
Più o meno tutti sperimentiamo questo conflitto tra dionisiaco e apollineo dunque, tra luci e ombre, che dalla notte dei tempi affligge l’uomo nel suo tentativo disperato di difenderne uno e condannare l’altro, di perseguire una strada divina e luminosa, o la strada “del vino”, entusiasta e scompigliata.
Io da buon sagittario, mezzo animale e mezzo guerriero celeste, vivo da sempre questa dicotomia nel corpo, ma anche nell’animo con una chiarezza imbarazzante. Ho sempre oscillato senza mai scegliere tra una “compagnia” e l’altra, vivendo una costante inquietudine: nei periodi troppo” dionisiaci” mi sentivo di vivere una vita inutile e smarrita, ma all’opposto quando decidevo di incamminarmi lungo la strada della “purezza” e del rigore, mi sembrava di perdere il contatto con le cose, con le persone, a volte con la vita stessa. E nella pratica sul tappetino la stessa tensione la percepivo nel corpo, tra due parti, quella inferiore e superiore il cui dialogo si spezzava nei lombi e mi lasciava senza centro.
Continuando a praticare Yoga senza certo la pretesa di risolvere l’annoso conflitto interiore, ma solo con l’intenzione di restare in equilibrio, un giorno ho percepito che tra la mia parte inferiore e quella superiore del corpo non c’era più una lotta, bensì una fruttuosa collaborazione e in certi momenti di grazia ora mi par quasi di non avere peso nell’asana, mentre sono agganciata alla terra come non mai.
Vanda Scaravelli l’ha spiegato così: “Esiste una divisione a metà della nostra schiena dalla quale la colonna vertebrale si muove simultaneamente in due opposte direzioni: dalla vita in giù, verso le gambe e i piedi attratti dalla forza di gravità e dalla vita in su, fino alla cima della testa sollevandoci con leggerezza. La forza di gravità sotto i nostri piedi rende possibile l’estensione della parte superiore della colonna e questa estensione ci consente di liberare la tensione tra le vertebre.”
A quel punto anche i conflitti tra la mia natura più terrena e quella più elevata, così come tutte le inquietudini che ne venivano, sono decisamente calati insieme ai pensieri inutili che li generavano. Risolvere il conflitto nel corpo, lo scioglie anche nella mente.
Così succede che la vita, come la pratica, non la pensi più, semplicemente la vivi. Il radicamento diventa l’esperienza più spirituale che si possa fare e la contemplazione diventa l’esperienza più concreta che ci sia.
La lotta cessa, si percepisce un senso di completezza. Almeno nei giorni buoni. Anche solo un istante a sentirci Unione tra gli opposti, nella pratica e poi fuori da essa, vale la pena di essere sperimentato.
Più pratica, dunque, e meno paranoie!
Elisa F.