Yukio Mishima pt. 2: la morte come compimento della vita

In tutti gli scritti di Mishima la morte occupa uno spazio fondamentale. È come se tutta la vita avesse un senso solo di fronte alla morte perfetta. Il significato stesso della vita è dato solo rispetto alla fine di essa.

In tanti hanno interpretato male la sua stessa morte. Mishima la preparò forse per tutta la vita. Nelle ultime ore di vita arringò parte dell’esercito giapponese per spingerlo a tornare ai valori tradizionali dei samurai medioevali, ed abbandonare la deriva modernista e l’occidentalizzazione che opprimevano l’autentico spirito in favore di non-valori grossolani e quantitativi, abbandonando quelli qualitativi, americani. Il suo discorso non fu capito, non ebbe seguito e subito dopo Mishima si uccise attraverso il suicidio rituale del Seppuku, insieme al suo piccolo esercito privato. E’ assolutamente errato pensare che si suicidò perché vide il fallimento: Mishima si era preparato per suicidarsi a prescindere. Il suo suicidio, come scrisse più volte in precedenza, rappresentava il culmine della sua vita. Un suicidio “in vetta” quando si percepiva al massimo grado di perfezione, fisica, mentale e spirituale possibile. Ma soprattutto una fine esteticamente meravigliosa a compimento della sua stessa filosofia, che non poteva prevedere il decadimento e la corruzione.

Non bisogna giudicare Mishima con i valori occidentali di cui non fa parte. La sua morte va presa in considerazione per quello che è ovvero un tentativo estremo di dare un significato all’esistenza che ovviamente non ha nulla a che vedere con il superficiale appagamento del piacere che tanto piace oggi.  

m.m.

alessandra quattordio