I libri e il viaggio – parte 1
Medina di Meknes; parte del mercato più povero. Sono alla ricerca di un romanzo.
Uno qualsiasi, mi dico, purché mi permetta di avere qualcosa da leggere nei lunghi viaggi con i mezzi pubblici tra un luogo e l’altro e la sera, dopo aver camminato tutto il giorno sotto il sole dell’Africa.
Un vago senso di colpa per non aver calcolato correttamente la quantità di libri necessaria per il viaggio incrina la piacevolezza della giornata. Devo rimediare, mi dico, e mi preparo all’impresa di trovare letture in francese o inglese nel suq di Meknes.
Patricia, la maitresse del Riad, mi dà qualche indicazione: “passi la Bab (porta), giri a sinistra e vai oltre i venditori di materassi. Poco più avanti trovi qualche bouquiniste”. Una parola, penso io. Tutto è vago nelle medine, ma proprio per questo, quasi tutto può succedere. Si può comprare di tutto nei suq, ma dopo qualche tempo la ripetizione impera. Il senso di orientamento è a mille, ma a volte (eufemismo: quasi sempre qui) le cose non sono logiche. E quindi vale tutto.
Invece ecco i bouquiniste, almeno uno. Mi fermo, avida di spulciare tra le cose più improbabili. “Aspetti madame, le tolgo il nylon”. Il venditore mi spiega che il sole brucia qualsiasi cosa qui, e sfila un polveroso lenzuolo di plastica nera dal suo banco, ovvero la terra nuda. Al mio sguardo un tappeto multicolore di libri.
Mi accovaccio e, tra sussidiari degli anni settanta e grandi classici pubblicati a puntate per riviste e quotidiani, l’attenzione cade quasi subito su due formati poche: Le pain nu di Mohamed Choukri e Le désorientés di Amin Malouf. Se del secondo conosco la fama, è uno degli acclamati accademici di Francia, del primo, dal nome inequivocabilmente magrebino, non so niente. Ma come per taluni lettori suppongo, la copertina è il biglietto da visita per un primo oscuro metodo di scelta. Quasi mai ho comprato a caso un libro di cui non amassi il progetto editoriale o, per lo meno, l’immagine di copertina. Qualche volta sono stata delusa, ma meno di ciò che le statistiche potrebbero confermare. E comunque, in questi casi, resta la possibilità di guardare al libro come a un bell’oggetto. (Mentre che tristezza per i libri belli con un progetto di copertina terribile! Ogni volta mi chiedo: com’è possibile che l’intelligenza insita nel libro non sia trasudata anche alla scelta editoriale?).
Le due copertine mi piacciono. Le sinossi di entrambi raccontano temi che solleticano la mia curiosità; ciò che significa quasi sempre: qualcosa che tocca da vicino la mia storia, un dettaglio di ciò che mi ha portato ad essere ciò che sono, ma che ha il gusto del diverso da me. I disorientati (questo il titolo in italiano pubblicato da Bompiani nel 2013) si presenta come un libro attuale: un immigrato – benché high class – che scrive dell’esilio e del tornare, facendo leva su un grande sentimento, l’amicizia. Il pane nudo (ancora Bompiani, 1992, ma credo, fuori commercio in italiano) è un racconto autobiografico del Marocco degli anni ’40, di cui sulla quarta di copertina Tahar Ben Jalloun afferma: “Un testo nudo. Nella verità del vissuto, la semplicità delle prime emozioni” (traduzione mia).
Contratto, e con 50 Dirham li porto entrambi via con me (5 € non è un grande affare, me ne rendo conto, ma contrattare stanca e preferisco salvaguardare energie per altro). Riparto con i due libri in mano, ché le borse di plastica sono un lusso per i commercianti più ricchi. (Ovviamente questa realtà produce una conseguente possibilità imprenditoriale: ci sono bambini che vendono i sacchettini di plastica, quelli che prima dell’era del biologico del mondo occidentale si usavano al supermercato…)...
continua il prossimo martedì..
> Progetto fotografico di E. Genesio, D. Manassero.