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Lea Del Ponte
Insegnante Hari-Om


Ho approcciato allo yoga intorno al 2010, da un punto di vista meccanicistico, molto occidentale, rifiutando categoricamente ed aprioristicamente di prenderne in considerazione l’impatto a livello sottile e spirituale o tantomeno religioso.

Per diversi anni ho praticato quindi una mera ginnastica, chiamandola “yoga” e utilizzandola fondamentalmente per recuperare sessioni sportive impegnative, rimanendo ostinatamente e deliberatamente impermeabile a quanto andasse oltre l’aspetto biomeccanico del movimento e delle asana, arroccata a difesa del mio intoccabile e granitico approccio scientifico.

Solo dopo qualche anno inizio a prendere coscienza di quanto lo yoga mi sia necessario per “quietare i vortici della mente” e di quanto senta l’esigenza di una pratica quotidiana per stare bene.

In questa fase frequento alcune masterclass di diverse scuole e scopro che c’è un mondo di pratiche, di stili diversissimi dei quali so poco o nulla… dopo una sessione particolarmente intensa ed appagante (di cui ho portato i segni, sotto forma di dolori muscolari, per la successiva settimana) decido di iscrivermi ad un corso insegnanti le a scelta cade sul corso Hari Om in modo quasi casuale, senza un lavoro di ricerca razionale su quali fossero le scuole disponibili, quali gli insegnanti, quale fosse il corso più giusto per me…

Arrivo alla scuola dopo aver preso la decisione in modo piuttosto impulsivo ed essermi iscritta nel giro di una settimana, senza aver ben chiaro che cosa aspettarmi e anche vagamente preoccupata… e faccio la prima incredibile scoperta del mio “viaggio yogico”: l’istinto (e non la razionalità) mi ha guidato nel posto giusto per me. Una scuola non dogmatica, non prescrittiva, che non ha bisogno di guru o di Verbo, ma che incoraggia i praticanti a pensare con la propria testa, a camminare sulle proprie gambe, a inciampare e a cadere in autonomia, a sperimentare, a ballare a ritmo della propria musica.

Negli anni successivi conseguo il diploma insegnante 200 ore e successivamente il 500 ore, sempre con Hari Om.

Imparo i nomi delle asana (pure in sanscrito, che fa la sua porca figura), imparo le transizioni, imparo alcune tecniche di respirazione e meditazione ma imparo soprattutto ad ascoltarmi e ad ascoltare.

Imparo che mi piace usare il mio corpo, metterlo sotto stress, a volte, per scoprire dimensioni nuove… imparo che la pratica yogica è un’esplorazione che mi fa sentire libera come prendere un aereo e andare a conoscere paesi nuovi, come salire in sella alla mia bicicletta e mettermi su strade inesplorate a cercare avventure, imparo a essere principiante, ogni giorno.

Imparo che non c’è uno yoga giusto e uno yoga sbagliato, che non c’è una spiritualità giusta e una sbagliata, che c’è occidentale metodo scientifico anche nell’osservazione degli effetti che produce una tecnica yogica. Imparo ad ascoltare e rispettare i mistici, i visionari, quelli che hanno bisogno di credere in qualcosa e quelli che hanno bisogno di non credere in niente.

Imparo ad accogliere e ad ascoltare e nell’insegnamento, imparo giorno dopo giorno a giocare e far giocare e a non prenderci troppo sul serio.